29 Gennaio 2016

Madeleine allo zafferano e confettura di lampone. E la Zima di Firenze

Che io sia innamorata di Firenze, ormai non è un segreto. Se poi si parla della sua storia e della sua cucina, le suggestioni si sprecano e mi si affacciano alla mente anguste strade medievali, dove passeggiano fianco a fianco ricche dame vestite di broccato accompagnate dalle loro serve, uomini in lunghe vesti alla maniera di Dante, commercianti che si affrettano per concludere i loro affari e apprendisti di bottega che sbrigano commissioni.

Tutto questo mi sono vista davanti, quando mi hanno parlato dello zafferano delle Colline Fiorentine, coltivazione recentemente recuperata e che affonda le radici proprio nella storia medievale del contado fiorentino.
Pianta di origine asiatica, lo zafferano fu portato in Italia nel Duecento da un monaco abruzzese che aveva prestato servizio nel Tribunale dell’Inquisizione in Spagna, dove la pianta era stata introdotta dai conquistatori arabi. In breve tempo lo zafferano si diffuse anche nelle altre regioni, ricercato non solo per scopo alimentare ma anche come farmaco, cosmetico e colorante, e usato anche come merce di scambio.
Lo zafferano fiorentino, allora conosciuto come Zima di Firenze, era già nel Duecento considerato di grande pregio e acquistato dai commercianti di tutta Europa; la città applicava una tassa su quello proveniente da altri contadi al fine di proteggere la produzione locale.

Circa 15 anni fa, 22 produttori si sono costituiti in associazione e hanno stilato un disciplinare di produzione che garantisse un prodotto di qualità. La denominazione Zafferano delle Colline Fiorentine (l’iter per il conseguimento della DOP è alle fasi finali) è legata non solo alla zona e alle tecniche di produzione, ma anche a caratteristiche di colorazione e alla presenza di sostanze specifiche in misura adeguata (il safranale e la picrocrocina), oltre che alla commercializzazione esclusivamente in stimmi tostati, non in polvere.

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Per conoscere meglio questo prodotto e la sua storia, in una soleggiata domenica di gennaio, sono stata invitata alla Rufina, piccola frazione del comune di Pontassieve posta tra le dolci colline ad est di Firenze.
L’Osteria de’ Rufinanti, all’interno del Relais di Pian d’Ercole, aveva preparato per noi un intero menù a base di zafferano, ideato dallo chef Vladyslav Zaykovskyy. Tra una portata e l’altra, pillole di storia, tecniche di coltivazione e proprietà naturali dello zafferano ci venivano raccontate da Giulia, promotrice del Castello del Trebbio, uno dei produttori aderenti al consorzio.

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Mi ha affascinato particolarmente il racconto della raccolta degli stimmi, un’operazione delicatissima, impossibile da meccanizzare e affidata di preferenza ad operatori femminili: fiore per fiore, vengono staccati i tre stimmi rossi, con cautela, senza intaccare gli stili gialli.
Mi sono immaginata di camminare tra file e file di meravigliosi fiori violetti e, in un moto di romanticismo, ho deciso di partecipare alla raccolta del prossimo autunno. Anche se ho la vaga idea che non sia un’operazione priva di difficoltà e fatica, motivo per cui lo zafferano ha un costo così elevato. Per ottenere 1 kg di stimmi servono circa 150.000 fiori…e chissà quante ore di lavoro!

Tra chiacchiere varie, notizie di carattere storico e degustazione di ottimi piatti, il momento del dolce è arrivato in un lampo: un tortino tiepido con crema allo zafferano e su cioccolato fondente al peperoncino (goduria pazzesca!) ha chiuso il pranzo e sono iniziati i saluti.

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Sono rientrata con curiosità da approfondire e tante idee in testa per sperimentare questo prodotto di eccellenza, coltivato a due passi da casa e che finora ho abbastanza trascurato. Ero certa di volerlo impiegare in un dolce, e la scelta è stata difficile. Fermo restando che presto voglio tentare una replica del tortino dello chef (che non sarà mai all’altezza, lo so, ma ci provo), mi sono cimentata in questi pasticcini raffinatissimi, nella loro semplicità: le petite madeleine.

(Sullo zafferano ci sarebbero tanti altri aneddoti e dati da raccontare. Se siete interessati vi rimando all’articolo di Marco, che ho trovato molto completo).

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Questo piccolo dolcetto, grande quanto una noce e dal profumo sublime, è universalmente noto in virtù della citazione che gli riserva il grande Proust, che lo definisce “piccola conchiglia di pasticceria, così grassamente sensuale sotto la sua pieghettatura severa e devota“. Come non essere d’accordo?
Piccole e aggraziate, morbide in virtù della quantità di burro che contengono (sono o non sono francesi?), sembrano proprio modellate su una conchiglia, nella parte inferiore, con la parte superiore rigonfia e invitante. In particolare, Proust usa il termine coquille Saint-Jacques, ovvero la conchiglia di San Giacomo (di Compostela) che i pellegrini diretti al celebre santuario usavano portare cucite sul cappello o sul mantello. E qui potremmo parlare del pellegrinaggio come metafora usata da Proust per riferirsi al suo percorso di ricerca e della conchiglia-madeleine che ne assurge a simbolo…ma forse è meglio lasciar correre e occuparci semplicemente della ricetta.

(In ogni caso, chi fosse interessato può trovare i miei appunti sull’opera di Proust in questa pagina).

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In passato ne ho sperimentati diversi tipi (classiche e al cioccolato, alla lavanda, salate al pistacchio), senza riuscire a decidere quale sia il mio preferito.
In questo caso l’incognita era data dalla quantità di zafferano da usare e in quale modo, visto che non stiamo parlando dello zafferano in polvere ma di quello in stimmi, dall’aroma incomparabilmente più potente ma al tempo stesso più difficile da dosare. Vedrete nella ricetta come ho fatto: il risultato mi è piaciuto. L’aroma si sente quel tanto che basta per non essere invasivo e, secondo me, si accosta bene con l’asprognolo della confettura di lamponi.

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Madeleine allo zafferano e confettura di lamponi

Quantità: circa 45 petite madeleine       Tempo di preparazione: 30′ + 4 h di riposo       Tempo di cottura: circa 40′ totali (circa 4 infornate)

Ingredienti

150 g di farina 00
150 g di zucchero
125 g di burro ammorbidito
2 uova grandi
2 cucchiai di latte
1 cucchiaino di lievito
5 stimmi di zafferano
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Procedimento

Fate fondere 50 g di burro con il latte a temperatura dolcissima e mettetevi in infusione lo zafferano per un paio d’ore.
Trascorso questo tempo recuperate gli stimmi con una forchetta e fate un lavoro certosino: divideteli con un coltello in pezzettini più piccoli possibile e mescolateli con il burro ammorbidito (a pomata).
Setacciate le farina con il lievito e tenete da parte.
Con le fruste elettriche montate lo zucchero e le uova per 5 minuti, poi unite delicatamente la farina con una spatola e infine il burro a pomata e quello precedentemente sciolto con il latte (se si fosse risolidificato basta riscaldarlo leggermente per pochi secondi). Mescolate e mettete in frigo per almeno un’ora (ma anche tutta la notte).

Se usate stampini di alluminio, imburrateli bene, per quelli in silicone non è necessario. Distribuite una piccola quantità di composto negli alveoli, poi una punta di cucchiaino di confettura e ancora un piccolissima quantità di composto a ricoprirla. Non li riempite troppo o in fase di cottura fuoriuscirà. Non sarà possibile spalmarlo perfettamente dentro l’alveolo perché l’impasto risulta piuttosto duro, ma in cottura si distribuirà da solo. (Mi è venuto in mente solo adesso, ma potrebbe essere più semplice distribuirlo con il sa-à-poche. La prossima volta proverò).

Cuocete a 220°C per 3-4 minuti circa, fino a quando le gobbette caratteristiche non si saranno formate; allora abbassata la temperatura a 180°C per altri 4 minuti circa. Un buon metodo di controllo consiste nell’osservare i bordi: quando iniziano a scurirsi, sfornatele subito. Devono cuocere pochissimo, così resteranno più soffici.

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Note:

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