Finita la festa (della palamita), ecco cosa resta.
Non un vero e proprio bilancio, ma qualche appunto sul weekend che ho trascorso a San Vincenzo, ospite della manifestazione Un mare di gusto – Palamita & friends. Il programma era ricchissimo, un vortice di stimoli e suggestioni che spero di essere riuscita ad afferrare anche in minima parte.
Ma oggi mi voglio concentrare su due aspetti di questo ricco e allegro blogtour, i cui ricordi marini ancora mi accompagnano per le strade della città.
All’arrivo a San Vincenzo siamo stati accolti dalla nostra Cristina, una macchina da guerra in borghese: è a lei che dobbiamo la perfetta organizzazione del blogtour, il rispetto dei programmi e della tabella di marcia e, in definitiva, la riuscita degli eventi. Una donna preziosa!
Dopo i saluti e le presentazioni tra blogger e autorità, abbiamo assistito ad una interessante ricostruzione della “stagione della pesca” e della friggera di San Vincenzo, attraverso le parole e le immagini di Maurizio dell’Agnello, giornalista della rivista “Il pesce”, e Rodolfo Tagliaferri, Presidente del Circolo Fotografi di San Vincenzo.
La stagione della pesca di San Vincenzo inizia negli anni Venti, a partire dall’esempio dei pescatori genovesi che si spingevano al largo delle coste tirreniche per fare incetta di alici e sardine.
A poco a poco, anche i sanvincenzini allestiscono barche da pesca, prima grossolane, poi sempre più leggere e veloci.
In pochi anni si raffinano anche le tecniche di pesca, passando dall’uso delle sciabiche (reti da pesca a strascico) alle manaidi, reti da posta mutuate dai pescatori del sud (provenienti soprattutto da Ischia, Ponza e Gaeta), anch’essi attirati dalla pescosità delle acque di San Vincenzo.
Le manaidi sono reti più selettive, ottime per le sardine e le acciughe poiché i pesci non vi si ammassano e vengono “smagliati” uno per uno, restando perfettamente integri e il loro impiego, all’epoca, ha certo contribuito all’incremento del pescato.
Sarà il conte Gaddo della Gherardesca a intuire il potenziale economico di questa attività e ad intraprendere le misure per poterla sfruttare in termini già industriali.
A lui si devono i primi ricoveri in muratura per i pescatori trascorrevano la stagione lavorativa nei dintorni di San Vincenzo e che fino a quel momento erano stati costretti ad accontentarsi di ripari di fortuna.
Ed è lui a fondare la GIPSA (Grande Industria Pesca Sardine e Acciughe) nel 1925, per organizzare e ottimizzare le operazioni di pesca e l’utilizzo del pescato.
La quantità di pescato, infatti, è così elevata che si pone ben presto il problema di come conservarlo, poiché è impossibile smerciarlo tutto da fresco. Il Conte della Gherardesca, allora, promuove la costruzione della friggera di Donoratico (cittadina che allora si chiamava ancora Bambolo, nome ben meno altisonante): qui si inscatolano le sardine dopo averle fritte in olio, mentre si conservano sotto sale le cosiddette salacche, simili a sardine ma molto meno pregiate, considerate un prodotto di seconda scelta. In questo modo si assicura lunga vita al pesce, che si conserva anche per anni, e tuttavia la pesca è così ricca che spesso la friggera non riesce a lavorare in tempi adeguati tutto il pesce conferito.
La friggera di Donoratico però avrà vita breve e nel 1938 ne viene realizzata un’altra direttamente a San Vincenzo, poiché è da lì che proviene la gran parte del pesce. Nonostante il nome, qui il pesce non viene fritto, bensì sciacquato in acqua e sale, fatto asciugare, inserito nelle scatolette con olio d’oliva e cotto al vapore di brace ardente. Questo procedimento consente di mantenerne al meglio le proprietà organolettiche e per un circa un decennio la fabbrica funziona a pieno regime, impiegando manodopera fissa e stagionale e apportando un certo benessere alla cittadina.
Al successo delle sardine di San Vincenzo contribuisce forse anche una sapiente operazione di packaging. Le sardine, infatti, vengono commercializzate con il marchio Dante’s, che richiama le più pregiate sorelle atlantiche, le sardine di Nantes, già allora note in tutta Europa. Purtroppo non ce ne è rimasto nessun esemplare ma sono state fatte ipotesi ricostruttive, sulla base dei ricordi di chi le ha viste, che ce le restituiscono più o meno così.
La fabbrica rimane in uso fino alla fine della guerra, quando viene deliberatamente smantellata dai Tedeschi in ritirata, perché possibile fonte di lavoro e sostentamento. Da allora ha subito varie vicissitudini e oggi è un albergo, così che è irriconoscibile l’originaria funzione.
Ma ne rimane il ricordo nella memoria dei sanvincenzini appassionati di storia locale e affezionati al proprio paese, che non perdono occasione per divulgare questo pezzo così caratteristico della loro storia.
Dopo questa immersione nella cultura locale, però, ci voleva anche un tuffo nella migliore gastronomia. E quale luogo migliore se non La Perla del mare?
Un nome evocativo, vero? A me vengono in mente sirene, incantesimi, flutti spumosi e opalescenti profondità marine. E a tratti si ha la sensazione che la cucina di Deborah Corsi – JRE (Jeunes Restaurateurs d’Europe) e direttrice artistica della manifestazione – riesca a tradurre tutto questo in termini concreti e sensibili.
Al suo ristorante si è tenuta la cena inaugurale della manifestazione, in una veranda affacciata sul mare calmo, illuminato da candele e piccole lampade.
La prima parola che mi viene in mente per descrivere Deborah è “ragazza”. Non chef, non direttrice, non personaggio. Conoscendo la sua fama e il suo ruolo nella manifestazione, sono rimasta incredula di fronte alla sua semplicità, alla totale assenza di pose, a quella pacata umiltà che contraddistingue solo i grandi.
In quei tre giorni l’ho vista in ogni angolo di San Vincenzo, come se avesse il dono dell’ubiquità, impegnata nei compiti più disparati, sempre pronta ad un sorriso eppure sempre concentrata, piena di passione e con un fondo di dolcezza ad accogliere il tutto. Impossibile non esserne conquistati, ancor prima di sedere alla sua tavola.
Deborah è alla Perla del mare da 24 anni, da quando era ancora una ragazzina. Inizia stando al bar, ma non fa per lei, allora prova a servire ai tavoli, dà una mano in cucina e ben presto scopre una passione inaspettata. Negli anni studia, cresce, frequenta corsi, conosce importanti chef e nel 2001 subentra definitivamente ai suoceri nella gestione del ristorante, insieme al marito Emanuele.
La sua cucina ha subito fatto breccia nel mio cuore, a partire dalla presentazione dei piatti: curati, pieni di colore e al tempo stesso delicati, e non è un caso che la pittura sia un’altra delle sue grandi passioni. Sono piatti che trasmettono una sensazione di leggerezza ed equilibrio, ed è esattamente quello che si prova nel gustarli.
I suoi menù reinterpretano la tradizione culinaria del territorio ma senza snaturarla: le bastano qualche guizzo di creatività, l’attenzione per le materie prime e la cura del piatto per realizzare dei veri e propri capolavori.
Noi siamo stati accolti con un due piccoli amouse-bouche in perfetto tema con la manifestazione: alici imbottite e fritte e un bocconcino di sgombro con cipolla, accompagnati dal ricco cestino del pane.
A seguire, il piatto-simbolo della manifestazione, la palamita tonnè, così composta: base cous cous, palamita marinata in sale e zucchero e salsa a base di palamita e maionese, completata da verdure croccanti. Un piatto fresco, gustoso, estivo e completo dal punto di vista nutrizionale.
Abbiamo continuato con un’amatriciana con pesce sciabola, fatta con spaghetti alla chitarra di grano Senatore Cappelli e sugo ai tre pomodori (fresco, passato e confit). Il tutto accompagnato da un ottimo vino, il Costa Toscana IGT “Obizzo 2015” – Donna Olimpia 1898.
A questo punto abbiamo deciso di passare direttamente al dolce, scegliendo però di assaggiarne tre, con mia somma gioia. Come pre-dessert abbiamo provato il cheesecake con schiaccia di Campiglia (e questa deve essere mia, sono già in cerca della ricetta) e una crema di ricotta con verdure candite e salicornia. Il dessert vero e proprio, invece era un semifreddo alla cassata con crumble di cacao, ganache fondente e cialda di cioccolato. E avrei voluto che non finisse mai.
Il mio reportage si conclude qui, ma siamo solo a venerdì sera! Altri due giorni pieni di eventi erano davanti a noi…cosa avremo fatto? Potete curiosare nei post dei miei colleghi blogger, ognuno di loro vi racconterà un evento, un aspetto, un momento di questa splendida manifestazione che tanto ci ha dato in termini di calore e di umanità. Oltre che di buona cucina e di conoscenza del territorio. Se non ci siete stati, ve lo consiglio per il prossimo anno.
Ringrazio ancora di cuore Cristina Galliti, Deborah Corsi e l’amministrazione Comunale di San Vincenzo per averci ospitati, oltre al gentilissimo Mirko Lachi dell’Hotel Villa Lo Scoglietto, che ci accolti come se fossimo di famiglia.
Questi i post dei miei colleghi:
Cristina Galliti – Poveri ma belli e buoni – Il mio secondo mare di gusto, Palamita & Friends, San Vincenzo 5-7 maggio 2017
Patrizia Malomo – Andante con gusto – Alla scoperta della Costa degli Etruschi in un Mare di gusto
Marina Bogdanovich – Madamoiselle Marina
Giuliana Fabris – La gallina vintageDaniela Barutta – La Dani gourmet – Un mare di gusto: visita al Podere San Michele e alla tenuta Poggio Rosso
Sandra Pilacchi – Sono io, Sandra – Un mare di gusto, eccellenze della Costa degli Etruschi
Annarita Rossi, Il bosco di alici
Giacomo Mazzoni – Ti consiglio un posticino – Blog tour Un mare di gusto: “Saranno famosi”, la sfida tra chef
[…] Alice Del Re (Panelibrienuvole): “Un mare di gusto: la friggera di S. Vincenzo e la Perla del mare” […]
Complimenti Alice per il tuo articolo!
La Friggera, a me sconosciuta, mi ha “aperto un mondo” ed il racconto di Maurizio Dell’Agnello denso di passione e dettagli l’ho vissuto appieno come un romanzo d’altri tempi.
E’ stato un piacere conoscerti e spero di incontrarti di nuovo, così come le altre blogger, in altre occasioni!
A presto!
Grazie Alice per il tuo prezioso contributo, ero sicura che la Friggera, in particolare, ti avrebbe affascinata e sono contenta che anche la nostra “ragazza” e la sua deliziosa cucina ti abbiano colpita così come San Vincenzo e i suoi dintorni.
Ora conosci la strada, quando vuoi…..noi ti aspettiamo!
Un abbraccio
Cristina
Che bel reportage Alice, come tuo solito. E che bella esperienza. Grazie!
Esperienze da foodblogger Chissà quante idee avrei immagazzinato!
Brava! Il racconto della friggera, che ci ha aperto il tour, mi ha affascinata ed emozionata, soprattutto perché i documenti che ne raccontano la vita sono praticamente inesistenti e la ricostruzione è avvenuta solo grazie alla passione ed alla memoria di affezionati. Tu hai riportato quella stessa emozione nel tuo racconto, così come hai reso onore alla bravura e modestia di Deborah, grandissima chef e donna instancabile.
Torniamo a S. Vincenzo che adesso riusciremo a mettere anche i piedi in acqua, e magari andiamo a trovare Deborah con calma, questa volta (quella palamita tonné me la sogno la notte).
Un bacione grande
Il mare, la sua quiete… mi fa bene solo a vederlo. Sa proprio calmarmi, specialmente quando è così placido e i riflessi luccicano con il sole… grazie, non sono ancora tornata a salutarlo, quest’anno, ma sono felice di averlo ammirato qui!
Com’è bello leggerti Alice! Grazie di <3
ovvia, allora quando si riparte per un nuovo tour????
Un racconto impeccabile, bravissima! Ascoltare la storia della Friggera è stato il modo perfetto per iniziare il nostro tour di San Vincenzo e della Val di Cornia. E che dire della cena di Deborah.. siamo in due a caccia della ricetta di quella Campiglese (la prima che trova una ricetta valida, batta un colpo!) 🙂
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