La palestra in cui vado ha una sala corsi grande e luminosa, molto bella. Ma quello che la rende speciale sono le enormi finestre che si affacciano sul cielo. Non riesco a vedere bene dove si affacciano perché sono molto in alto, ma deve essere un ampio spazio su cui si aprono vari caseggiati.
Quando sono sdraiata, sul punto di soccombere agli infernali circuiti di addominali, guardo verso quel pezzo di celeste, incorniciato dalle fronde di un sorbo e inghirlandato dalle foglie di un rampicante a me ignoto, come a un miraggio. In quel momento di fatica e sudore è come prendere una boccata d’aria pura, come librarsi in volo – mentre sono solidamente appiccicata a terra – e mi è di aiuto nel portare a termine gli esercizi che, da precisina quale sono, voglio fare fino alle fine anche se rischio il collasso.
Ma ieri un lampo fulmineo ha attraversato lo squarcio di celeste: un pallone.
E’ stato un attimo, tanto che lì per lì ho pensato di averlo sognato. Ma invece no, sono sicura: era proprio un pallone.
Quel cielo mi è sembrato ancora più bello al pensiero di un bambino che giocava al sole di un cortile, come facevo io da piccola.
Non so se succeda ancora così, nei paesi, ma qui in città mi sembra un evento rarissimo. I cortili sono pochi e i bambini che vengono invogliati a stare fuori pure. Molti sono rintanati in casa tra tablet e cellulari, oppure sono persi in mille attività formative che ne fanno piccoli uomini, ma rischiano di privarli del lato più spensierato dell’infanzia.
E invece io ricordo come pura beatitudine quei pomeriggi passati a giocare all’aperto con i bambini del vicinato e nient’altro che un pallone come accessorio. Spesso neanche quello, bastava la fantasia a creare mondi sempre nuovi, magici o verosimili che fossero. Oppure un muro per contare mentre gli altri si nascondevano, o un tombino da cui partire per giocare a Strega comanda colore.
Che meraviglia.
Vorrei tanto che i bambini di oggi potessero riscoprire il gusto di giocare così. Credo che li aiuterebbe a diventare adulti più equilibrati e in pace con se stessi.
Avevo già fatto una torta di clementine con la farina di castagne, e l’avevo adorata. Ma il merito era più della farina di castagne – che per me rende speciale qualsiasi ricetta – che non delle clementine in sè, visto che non si sentivano molto.
Così ho provato un’altra versione: stavolta ho usato le clementine intere, buccia compresa e il sapore si sente distintamente. La consiglio a tutti gli amanti degli agrumi: è semplice e veloce e all’interno rimane umidina, un po’ come la torta alle arance e olio extravergine.
Per valorizzare le clementine ho scelto una farina meno caratterizzata rispetto a quella di castagne: la farina di avena arrivata direttamente da Marianna e Erica del blog Sapori e Dissapori. Profumo intenso e grana finissima, questa farina ha regalato un aroma in più alla torta, anche se le protagoniste rimangono senza dubbio le clementine.
La ricetta si ispira ad una del libro Di farina in farina di Marianna Franchi. Pronti all’assaggio?
Come sempre mi piace tutto! Poi adoro le torte agrumate perciò meglio ancora!
Eccola! Oggi ho trovato la farina di avena perchè ricodavo aver visto una ricetta di una torta che volevo assolutamente fare. Ma non ricordavo né che torta, né di chi :))
poi mi son detta che forse eri tu, tanto per cambiare. ed eccola qui. salvata!
Evviva! Sono contenta…spero che ti piaccia 🙂
La ricetta sembra bellissima! ma se sostituissi le clementine con i mandarini? devo farle bollire lo stesso o posso aggiungerle frullate a crudo? avendo prima tolto i semi si intende! Grazie
Ciao Ughetta, puoi tranquillament usare i mandarini ma ti consiglio di usare lo stesso procedimento, altrimenti rischiano di essere amari… Fammi sapere, buona serata!
Alice