Da lei andavo di rado. Ogni tanto, invece di trascorrere i pomeriggi con la nonna, i miei genitori mi lasciavano con la zia Silvana. Lei era la sorella di mia mamma, una signora elegante e fattiva, con un fondo di ruvidezza d’altri tempi che aveva preso dalla nonna.
La zia aveva una rivendita di elettricità, un piccolo negozio di paese come quelli che non esistono più. Due stanze che erano una selva di lampadari appesi al soffitto, piantane dai lunghi steli e abat-jour che rivestivano le pareti. Era un po’ buio, e c’era a malapena lo spazio per muoversi, un ambiente quasi surreale rispetto agli ampi e luminosi spazi espositivi di oggi, ma tanto più vivo e reale. C’erano angoli scuri nei quali credo di non essermi mai avventurata e un piccolo viottolo che dall’ingresso conduceva al bancone, come un sentiero costeggiato da arbusti e cespugli di strana fatta.
Qui i pomeriggi erano più lunghi che dalla nonna: non avevo i miei giochi né altri bambini con cui stare, e i clienti del negozio tenevano spesso impegnata la zia. Eppure mi ero ritagliata i miei spazi, avevo trovato il mio daffare.
Dietro al bancone c’erano tanti scaffali pieni zeppi di lampadine, che la zia consegnava all’acquirente avvolte in una carta velina sottile sottile. Quella carta mi piaceva moltissimo, così come mi piaceva fare pacchetti, un lavoro meticoloso e di precisione nel quale mi pare di vedermi, con le mani piccole e paffute e l’espressione concentrata. Impacchettavo lampadine a tutto spiano, anche in assenza di clienti, beandomi nell’uso del super lussuoso porta scotch da tavolo: a casa lo scotch lo dovevo tagliare con le forbici, il che rendeva l’operazione più difficoltosa e molto meno professionale.
E poi c’era il retrobottega. Che bella parola. Sembrava quasi un angolo di casa nel negozio, un posto segreto e nascosto, al riparo da occhi indiscreti, nel quale mi piaceva rifugiarmi per non essere vista da chi entrava.
Non c’erano finestre ma solo la luce di una lampada da tavolo. Lì mi sentivo protetta, mi sedevo alla scrivania e facevo disegni sul blocco quadrettato con l’intestazione del negozio. Era un blocco normalissimo, non so perché lo trovassi così interessante, forse semplicemente perché diverso da quelli che avevo in casa, o perché ho sempre avuto un debole per gli articoli di cancelleria. E poi c’era una calcolatrice di quelle con lo scontrino a rullo, un oggetto del desiderio inconfessato, ma credo che non avessi l’autorizzazione ad usarla, tranne in casi di noia grave.
Se andavo di mattina, poi, la zia mi portava a comprare la schiacciata in un forno diverso da quello in cui si servivano i miei, e ovviamente quella “ciaccia” mi sembrava incommensurabilmente più buona, con quel sottile velo di farina sotto e i pezzi belli grandi di formaggio.
Vorrei ricordare più cose di lei, ora che non c’è più, ma la mia attenzione di bambina era assorbita dai dettagli marginali, a discapito della comprensione di quel che mi accadeva intorno. Un po’ addormentata, per farla breve. Nel mio mondo. E così, adesso non ricordo quel che diceva la zia né che persona fosse, ma ne ricordo la voce, e rivedo la superficie di quella scrivania e la luce della lampada da tavolo e sento la farina della schiacciata sulla punta delle dita.
Questi biscotti sono nati per caso, perché volevo usare quello sciroppo di fichi che avevo messo nei pancake e che mi era piaciuto tanto. Ho fatto un po’ a caso, basandomi anche su altri biscotti che ho fatto in passato e il risultato, secondo me, è buono. Dei biscotti piuttosto morbidi, semplici, dolci quanto basta, in cui usare qualche farina speciale, magari. I biscotti che non mi stancherei mai di mangiare.
Quantità: circa 24 biscotti Tempo di preparazione: 10′ + 30′ di riposo Tempo di cottura: 12′ circa
Ingredienti
150 g di farina tipo 1
120 g di sciroppo di fichi
100 g di mandorle a filetti
50 g di burro morbido
1 uovo medio
30 g di farina di avena
30 g di farina di mandorle
1/2 bustina di lievito in polvere non vanigliato
Setacciate le farine con il lievito.
Lavorate il burro con lo sciroppo di fichi con un cucchiaio di legno, poi unite l’uovo e amalgamatelo bene. Aggiungete le farine e il lievito, mescolando bene, poi sigillate la ciotola con la pellicola e riponete in frigo per mezz’ora.
Versate le mandorle a filetti in un piatto fondo.
Riprendete l’impasto e, con l’aiuto di due cucchiaini, formate tante palline grandi come una noce. Rotolatele una ad una nelle mandorle fino a ricoprirle. Disponetele su una taglia rivestita di carta da forno, abbastanza distanziate perché in cottura si allargheranno un po’.
Infornate a 180°C per 8′, poi abbassate il forno a 160°C e proseguite la cottura per altri 4-5′.
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Hanno un aspetto cosi invitante questi biscotti che potrei assaggiarne uno mentre rileggo il racconto sulla zia e sulle ore passate con lei.. anche io ho dei ricordi un pò annuvolati di alcuni parenti … A presto LA
Mi perdo sempre nei tuoi racconti, che raccontano di vita vissuta e cari ricordi. Quel negozio di “elettricitá” mi pare quasi di vederlo, come quella bimba timida che si nascondeva dietro il bancone…scrivi un libro Alice, io sarei la prima ad acquistarlo ❤ ho guardato bene le tue foto e tu parli a me, di bella luce. Sono meravigliose, come quei biscottini che sembrano semplici, ma non lo sono!
Non so mai se mi piacciono di più le tue ricette o i tuoi racconti. Quella bottega sarebbe stata una favola anche per me, certo una merceria o una cartoleria sarebbero stati il paradiso assoluto ma hai reso perfettamente le atmosfere e credo che in fondo, dato che ognuno di noi ha dei ricordi frammentari degli altri, soprattutto quando si è bambini, la zia sia parte di un ricordo bellissimo nel suo insieme. Un abbraccio
Che dolcezza qua… mi hai fatto perdere tra i tuoi ricordi, emozionare come se fossi stata anch’io bambina con te 😉 Le foto mi piacciono davvero da morire, non so come fai!! Per non parlare dei biscotti… beh, vorrei troppo assaggiarli!! <3 <3
ciao Alice, intanto ti devo dire, per me due ricette in una, visto che mi sono andata a guardare anche quella dello sciroppo. Insomma… due ricette meravigliose, doppio regalo!
Poi questo racconto della zia mi ha fatto emergere tantissimi ricordi miei, ormai sepolti sotto una spessa coltre di polvere. Di questo te ne sono grata. Ricordo molto bene, tra l’altro, i negozietti che citi tu, le piccole botteghe di periferia, non necessariamente di articoli elettrici; spazi a volte angusti, sempre scarsamente illuminati (specie a confronto con i negozi odierni!), ma pieni zeppi di “tesori”.
Infine le foto! Mi piace moltissimo questo tuo nuovo stile, ma d’altra parte già lo so, ora che ti conosco un pochino, ogni cosa che fai è bella, tenera, appassionata, dolcissima, come sei tu. Ti abbraccio
Torno indietro anch’io col tuo racconto. Alle botteghe piccole nel mio paesino che trovavo orribili e che invece adesso mi lasciano senza fiato. Agli stanzini piccini piene zeppe di tesori.
Sono deliziosi i tuoi biscotti. Credo ne adorerei il sapore e le foto sono bellissime Alice. ☺️Un abbraccio