Aiutatemi a dire soffice. Ma non soffice, vaporosa. Ma non vaporosa, una nuvola. Ci sarà una ragione se si chiama Chiffon Cake, no?
La torta, americana al 100%, ha una storia (relativamente) vecchia e senza dubbio interessante. Il suo creatore di chiama Harry Baker (che in inglese significa fornaio…una coincidenza?!), un semplice assicuratore con la fissa per la pasticceria. Nel suo laboratorio di Los Angeles, a partire dal 1923, lavorò con determinazione e puntigliosità all’elaborazione di una torta soffice a partire da un composto di uova montate. Dopo 4 anni ottenne una torta alta e soffice proprio come la desiderava.
La Baker Cake (così si chiamava inizialmente) ebbe il suo battesimo nel ristorante più alla moda di Los Angeles, frequentato dall’olimpo delle star di Hollywood: il Brown Derby, dalla curiosa e ormai storica copertura a calotta, o meglio, a bombetta (questo infatti è il significato della parola derby).
Se le prime versioni della torta erano aromatizzate alla frutta, con il tempo ne comparvero di innumerevoli tipi, invenzioni ardite che solo la fantasia e la spregiudicatezza americana potevano partorire.
Per 20 anni, Baker mantenne segreta la ricetta della sua torta, ma nel 1947 vendette la formula alla General Mills, colosso della produzione dolciaria industriale, che la utilizzò per farne una miscela per torte fatte in casa, che in America corrispondono quasi sempre ai preparati istantanei venduti in busta.
Con il lancio della torta sul grande mercato, fu cambiato il nome in Chiffon Cake, per evocare la morbidezza della torta a partire dall’analogia con il famoso tessuto, impalpabile e raffinato.
Se la storia della Chiffon Cake vi incuriosisce, soprattutto in relazione all’architettura e alla società americane degli anni Venti, vi rimando al bellissimo post di Monica, del blog Cake Garden Project, da cui ho tratto tutte queste notizie (nonchè la foto del Brown Derby).
La consistenza peculiare della torta è data dalla presenza di molti albumi, montati a neve fermissima, e dalla presenza di olio di semi invece che burro, che fino a quel momento era stato il grasso principale dei dolci statunitensi.
La caratteristica tipica della Chiffon Cake è lo sviluppo in altezza, generalmente spropositato, che ho sempre letto come un simbolo più o meno consapevole del gusto americano per il gigantismo e la sovrabbondanza. La torta sembra quasi una sfida alla gravità, con il suo innalzarsi in maniera inverosimile, ma senza diventare troppo dura e compatta, e restando invece incredibilmente soffice e setosa.
Essenziale per la sua realizzazione è l’apposito stampo in alluminio, alto, con foro centrale e con piedini alla base, come questo. Una volta sfornata, la torta viene rovesciata e i piedini la tengono sollevata dal piano del tavolo, così che la forza di gravità la tiri verso il basso, facendola “crescere” ulteriormente. Per questo motivo la tortiera non va imburrata né infarinata, affinché l’impasto resti un po’ attaccato e trattenga il peso della torta. Una volta raffreddata si staccherà facilmente da sola, come per magia.
Non avendo lo stampo apposito, ne ho usati due più piccoli, sempre in alluminio, ma senza buco centrale nè piedini.
Il dolce che vedete in foto era nello stampo più basso e dopo mi sono pentita di non aver fotografato l’altro, che forse sarebbe stato più rappresentativo della Chiffon Cake. Ma ormai è andata.
Anche la foto dell’interno lascia un po’ a desiderare e non rende affatto la consistenza della torta.
Insomma, c’è un’unica soluzione: provare a farla! O passare a prendere il tè a casa mia…
Porzioni: 12 Tempo di preparazione: 15′ Tempo di cottura: 50′ circa
Ingredienti
300 gr di farina 00
300 gr di zucchero semolato
130 ml di olio di semi
180 ml di caffè della moka
300 g di albumi (circa 10)
2 tuorli
6-7 baccelli di cardamomo
1 bustina di lievito
un pizzico di cremor tartaro
Per guarnire:
Procedimento
In un mortaio, pestate i semi di cardamomo.
Setacciate la farina con il lievito, unite il cardamomo, lo zucchero, l’olio e il caffè, mescolando bene con una forchetta. Unite anche il tuorlo e mettete l’albume con gli altri che avete da parte.
Montateli a neve ferma con un pizzico di cremor tartaro (serve a rendere più stabile la schiuma), poi uniteli delicatamente al resto del composto, aiutandovi con una spatola.
Versate nello stampo senza imburrare e cuocete a 170° per 50 minuti circa (prova stecchino).
Sfornate e capovolgete, poggiando il bordo dello stampo su due sostegni, in modo che non tocchi il piano del tavolino. Aspettate che si raffreddi (almeno un’ora, meglio due), poi “aiutate” leggermente il distacco facendo scorrere un coltello a lama liscia tra il dolce e le pareti dello stampo. Capovolgete nuovamente, scuotete delicatamente e il dolce si staccherà.
Guarnite con la panna fresca montata e i chicchi di caffè.
Note: