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Come rappresentare in cucina la macchia mediterranea? Il primo pensiero va senza dubbio a cinghiali e lepri, che ne sono il simbolo supremo. Poi a volatili come piccioni, beccacce e fagiani. E ancora, funghi di tanti tipi e anche qualche tartufo. Materie prime per piatti saporiti e sostanziosi, che sulla tavola di casa mia sono sempre stati consueti quanto per altri lo erano il pollo arrosto e le lasagne. Forse proprio per questo, pur apprezzandoli, non ne vado in cerca, non mi incuriosiscono. Non mi stimolano a sperimentare.
Se devo scegliere una ricetta che rappresenti la macchia mediterranea penso piuttosto a piante ed erbe spontanee: asparagi selvatici, ortica, vitalba. Mi sarebbe piaciuto usarle per una bella zuppa, o un primo piatto, che sicuramente mi avrebbe rappresentata di più. Ma queste piante andavano prima di tutto trovate e raccolte e, in questo versante, senza l’aiuto del babbo sono persa. Prima o poi farò un bel corso di riconoscimento di piante selvatiche (con tanto di dritte su dove trovarle intorno a Firenze), ma fino a quel momento, sono priva di risorse.
All’approssimarsi della scadenza dell’iniziativa promossa da AIFB in occasione della manifestazione Genius Loci – LA TERRA È VIVA, dunque, ero praticamente rassegnata a non partecipare. Del resto, non si deve mica apparire a tutti i costi. Sempre di più vivo queste pagine virtuali come uno spazio fatto a mia immagine e somiglianza (sindrome di onnipotenza?!) e preferisco un silenzio ad una ricetta che non mi convince e non mi rappresenta. Spesso non è un intento consapevole e dichiarato, piuttosto un moto naturale dell’animo che si blocca, si impunta e, se una cosa non la sente propria, me la fa accantonare fino a farla scivolare via e scomparire.
Poi, però, ho letto il bel post sugli arbusti e le erbe spontanee scritto da Alessandra e Marina e ho avuto l’illuminazione. Che stupida che sono stata! Eppure, la “mia” macchia, era fatta proprio di quello.
Vi chiedete forse di cosa io stia parlando. Ebbene, dovete sapere che nella macchia mediterranea ho trascorso alcuni dei mesi più intensi e ricchi della mia vita. E intendo proprio DENTRO alla macchia. Non sulle spiagge della Maremma, a fare bagni di sole tra i tronchi levigati di Marina di Alberese, non nei locali radical-chic di Capalbio dove più intensa è la vita notturna. Intendo proprio tra i rovi e le spine della Smilax Aspera, che i foodblogger raffinati – lo scopro solo ora – chiamano salsapariglia, ma sul campo di battaglia è conosciuta come stracciabrache, e non credo ci sia bisogno che io vi spieghi perché.
Otto ore al giorno passate a grufolare (mai termine fu più appropriato) tra intrichi di liane e pungitopo, in un sottobosco fittissimo e a volte impenetrabile, mentre dall’alto i lecci e i pini svettavano sulle nostre teste a filtrare i raggi potenti del sole. Solo qualche cinghiale a farci compagnia: mai troppo vicini ma comunque presenti, sembravano voler affermare la loro supremazia sulla macchia.
Quando potevamo camminare sui rari sentieri era un sollievo. Tra i lecci, ai lati dello stradello, qualche albero di Giuda risaltava con le sottili foglie verdi-giallastre, quasi trasparenti; ai loro piedi, i folti cespugli di mirto, di lentisco e di fillirea orlavano il nostro cammino.
Il sentiero, un filo di ragnatela disteso sulle colline dalla terra secca e dalla vegetazione asciutta e coriacea, era il nostro momento di riposo: lì si rifiatava e si distendevano le membra, finalmente libere dai rovi che nel sottobosco sembravano trattenerci da ogni parte, chiamarci, voler giocare un gioco opprimente e tenace. Era il momento di concedersi un frutto, valutare il bottino e pianificare nuove strategie.
Intorno a noi, il silenzio pesante era interrotto solo dal ronzio degli insetti e da rapsodici fruscii della vegetazione, provocati da qualche animale più che dal vento: nella macchia l’aria era sempre immobile e sospesa. E ancora: il caldo, la polvere, le punture di zanzara, e una missione dai contorni sempre più sfocati.
Ma sono stati anche giorni di amicizie intense, di grandi risate e di sfide con se stessi. Giorni in cui allo sconforto seguiva sempre il ristoro, e il domani era lontano e insondabile. Giorni che ricordo con piacere, ma dai quali mi sento molto lontana, che sfumano nel sogno.
La mia ricetta ha i profumi di quella macchia familiare, di giornate di fine estate ancora afose, di ricerche incessanti, di amicizie suggellate da fatiche condivise e pasti consumati all’aperto. È la mia prima panna cotta, ed ha l’aroma delicato del rosmarino, niente affatto invasivo in questa veste. E poi c’è la dolcezza pungente del miele di corbezzolo e la sapidità dei pinoli maturati al riparo delle nere pigne. Un mix di cremosità e croccantezza, in un dolce che vorrebbe essere raffinato, ma che ha uno spirito selvaggio, puro, intenso e aromatico come solo la Maremma può essere. Una dichiarazione d’amore a questa terra.
Ah…ma forse vi starete ancora chiedendo cosa mai ci facevo in mezzo alla macchia, cercando di aprirmi un varco tra la fitta vegetazione, graffiandomi braccia e gambe e offrendomi in pasto agli insetti…. No, niente caccia di contrabbando nè attività illegali. Semplicemente…ricognizioni archeologiche!
PANNA COTTA AL ROSMARINO CON CROCCANTE DI PINOLI AL MIELE DI CORBEZZOLO
Dose: 4 persone Tempo di preparazione: 20 minuti Tempo di cottura: 10 minuti
Per la panna cotta:
Per il croccante di pinoli:
Mettete la colla di pesce a bagno in acqua fredda. In un pentolino, riscaldate la panna con il latte, lo zucchero e il rosmarino. Spegnete quando spunta il bollore, togliete il rosmarino e unite la colla di pesce strizzata, mescolando per farla sciogliere. Versate negli stampini monoporzione (in alluminio o silicone), fate intiepidire e poi mettete in frigo per almeno 4 ore.
In una casseruola dal fondo spesso sciogliete il miele e lo zucchero. Quando iniziano ad assumere un colore ambrato, versatevi i pinoli, mescolate qualche istante, poi togliete dal fuoco e versate tutto su un foglio di carta da forno (l’ideale sarebbe su un piano di marmo, per chi ce l’ha). Livellate con una spatola leggermente inumidita e fate solidificare un paio d’ore.
Non appena avete tolto i pinoli potete usare il poco caramello rimasto sul fondo della casseruola per formare delle piccole gocce che potrete usare nella guarnizione finale.
Quando il croccante si è sufficientemente indurito, tagliatelo con un coltello affilato formando dei quadrettini, oppure in maniera irregolare fin quasi a sbriciolarlo.
Sformate le monoporzioni di panna cotta immergendole prima rapidamente nell’acqua e servite accompagnandole con il croccante sbriciolato e le gocce di caramello.
Con questa ricetta partecipo al contest La macchia nel piatto
Se ci mettessi i fiori di rosmarino?
Intendi lasciandoli dentro alla panna cotta? Qui i rametti sono usati solo in infusione…
Si, ma i fiori sono meno forti. I miei rosmarini sono pieni e mi dispiace vederli cadere.
Non saprei…non li ho mai usati in una ricetta, mi dispiace!
Mi sa che dovrò fare un esperimento!
Certo!
Molto ben scritto 🙂 E bella ricetta. Complimenti 🙂
Grazie Corrado!! Davvero… 🙂
Alla prossima!
Cara Alice, complimenti!! Bellissimo racconto reso concreto da questa pannacotta meravigliosa e da un impiattamento delicato ed equilibrato.
Post perfetto come solo le più brave sanno fare.
Roberta…mi lasci senza parole!! Detto da te, è il massimo che potessi desiderare. Grazie, grazie davvero. 🙂
Mi piace davvero moltissimo questa panna cotta.. delicata, raffinata e con degli abbinamenti che rientrano appieno nelle mie corde, con il rosmarino, i pinoli, il miele di corbezzolo (al quale io preferisco sempre il miele di castagno, ma lì è questione di gusti).
E poi qualcosa mi dice che abbiamo qualcosa in comune.. io non sono nel ramo archeologico (quello solo di adozione, visto che ho un Colui archeologo), ma sono di una parrocchia vicina (almeno per studi, poi la vita mi ha portato da un’altra parte) 🙂
Grazie Giulia! Ma lo sai che anche io adoro il miele di castagno? Lo metterei ovunque. Però qui mi sembrava un po’ fuori tema…è stata l’occasione per provare qualcosa di nuovo, almeno!
Il Colui archeologo!! Povera te….è una razza difficile sai?! 😉
Scherzi a parte, mi sa che tra i food blogger più incalliti ci sono tanti studiosi di scienze umanistiche…anche se poi sono pochi quelli che ne hanno fatto una professione…purtroppo.
Un abbraccio e grazie ancora!
la ricetta è , nella sua semplicità, stupenda per me…adoro TUTTI gli ingredienti…un impiattamento raffinato ….un racconto intenso dove si respirano gli odori della maremma…eeeeeeeee anche io voglio un corso sulle erbe spontaneee…..mannaggia…troppo bello! complimenti cara….sei bravissima!!!
Grazie Enrica!!! 😀
Un mega abbraccio!
L’ha ribloggato su cristianciarrocchi.
Chissà perché avevo intuito il finale… 😉 E’ stata tutta colpa del verbo “sgrufolare”! ahahahah
Brava Alice, la ricetta è perfetta, di quelle che piacciono a me con pochi e chiari ingredienti
Eh Marina…tu ne sai qualcosa, vero?! 😀
Grazie mille…anche io non sono per le ricette troppo complesse o elaborate…la semplicità paga sempre!
Un abbraccio.
Le erbe aromatiche che donano profumo ai dolci … adoro!!!
La ricetta, come la sua piccola storia, è bellissima … però mi sarebbe tanto piaciuto vedere qualche foto che ti immortala mentre “sgrufoli tra gli stracciabrache”!!! 🙂
ps: e devo dire che io a sgrufolare nel bosco mi diverto un sacco!!!!
Martina, ma sai che ci avevo pensato?! Però non erano foto tanto pubblicabili…più documentarie che altro, la qualità davvero pessima…anche perché sono passati diversi anni! E allora ho pensato che era meglio lasciare tutto all’immaginazione 😉
Un abbraccio e buona giornata!
…e stavolta il commento è d’obbligo da qui! Ma possibile che fino ad ora mi fosse sfuggito questo tuo lato maremmano (oltre quello chianino, naturalmente…) :-O ??? Inutile dire che condivido tutto quello che dici della Maremma “dalla spiaggia in qua”, dallo stracciabraghe ai cinghiali… e se anche ti ho detto che la panna cotta non mi piace un gran che potrei fare un’eccezione! 🙂
Come non lo sapevi?! Ma che amiche ho?! 😀
La Maremma ha un fascino che conquista chiunque la viva nella sua versione più naturale. E la panna cotta ero convinta non piacesse neanche a me, l’ho sempre snobbata, soprattutto al ristorante…e invece ti dico che in questo caso non ci sono assaggi per nessuno perchè…l’ho mangiata tutta!!Sarà il saporino di sottofondo del rosmarino, sarà la dolcezza ma…mi è proprio piaciuta!
E meno male che alla fine c’è stata l’illuminazione 🙂
Davvero una gran bella ricetta.
Fabio
Grazie! 🙂
Complimenti davvero per ricetta, la trovo molto interessante. Non amo di solito la panna cotta, ma in questa versione non la ho mai assaggiata, quindi sarà d’obbligo provare 😉
Buona giornata
Grazie! In realtà anche io finora non ero un’appassionata di panna cotta ma con questi aromi l’ho apprezzata davvero molto. Fammi sapere se deciderai di provarla!
Grazie di essere passata di qui,
Alice
Che bel post, mi piace assai compresa la ricetta, che per mie esigenze dovrò un po’ adattare. Ma la macchia sarà riconoscibilissima. Sto pensando alla merenda di oggi e… sì l’aggiunta di fiori di rosmarino ci stanno proprio bene e danno quel colore in più. Grazie per questa tua condivisione e quando avrai addocciato un corso sulle piante spontanee fammelo sapere, vengo volentieri anch’io.
Grazie davvero! Io avevo pensato di usare i fiori di rosmarino almeno come decorazione ma non ne avevo purtroppo…
Spero davvero di trovare un corso che faccia la caso mio…sai quanti spunti in più per le mie ricette?! 😉
A presto,
Alice
Da 10 e lode!
Bravissima Alice, mi piace tutto di questo post: le sensazioni, le emozioni e i profumi e i sapori che hai lasciato trasparire.
Un abbraccio!
Grazie Angiola!! Si vede che sono luoghi che mi porto dentro… 😀
Un abbraccio.
La storia mi aveva alquanto incuriosito e volevo proprio scoprire cosa ci facevi nella macchia…davvero un bel racconto, si vede sei legata al ricordo che hai condiviso anche con noi tra queste pagine. Cosa dire della ricetta?!Non posso che amare la presenza del rosmarino in questo dolce. Anch’io non ho molta confidenza con la pannacotta, ma questa tua ricetta, mi ha messo una gran voglia di provare!Chiara
Grazie Chiara! 🙂
Avevo visto spesso il rosmarino in piatti dolci ma era la prima volta che lo provavo…e mi è piaciuto tantissimo!!
Buona giornata,
Alice
Devo dire che anche io come Chiara, ero profondamente incuriosita dal sapere cosa tu facessi nella macchia a “grufolare”… sarei rimasta male se tu non ce lo avessi svelato! Sull’utilizzo del rosmarino alzo le mani in segno di approvazione (tipo concerto, insomma). L’ho provato lo scorso anno in una torta di pesche e me ne sono innamorata! La tua panna cotta ha un aspetto super invitante, con il croccante di pinoli deve esser uno sballo…. p.s mi sembra che alla fine ti sia venuta e parecchio bene!!!
Per me era la prima volta del rosmarino in un dolce ma credo che replicherò l’esperimento perché mi è piaciuto tantissimo!! Ecco, con le pesche per esempio…è tutto da scoprire! 🙂
Ed è un po’ come tornare a quei giorni di tempo sospeso…
Un abbraccio e buona giornata cara Margherita!
Deliziosa…io ho provato il rosmarino in una torta di mele e il risultato è esaltante
Grazie!! Ecco un altro abbinamento da provare.. 😉
Ohhhh finalmente eccomi qui a vedere tutte le delizie e bellezze che mi son persa!
meravigliosa questa panna cotta! ogni tua ricetta è poesia!
Grazie Terry cara!! Arrivo anche io da te…c’è una cosa che mi ha incuriosito troppo!!
Che bella ricetta è che bell’idea. Io adoro il rosmarino e l’ho usato tante volte per fare dei dolci pertanto immagino la bontà e la freschezza della tua panna. In bocca al lupo per il contest e felice di averti conosciuta tramite Aifb.
A presto e ciao
Tiziana
Ecco, per me era la prima volta…e puoi immaginare la sopresa nel sentire quella freschezza! ☺
Crepi il lupo e grazie davvero…anche io non conosco ancora tutti i soci Aifb…rimedierò presto passando da te!!
Buona domenica,
Alice
Spesso mi rendo conto che i tuoi racconti sono una parte molto avvincente dell’approccio alla ricetta, specie per me che guardo ammirata ma non mi sento all’altezza di replicare le tue preparazioni eleganti.